Opzione put e patto leonino

Opzione put in favore dell’acquirente di partecipazione sociale e divieto di patto leonino

App. Milano, 13 febbraio 2020. La sentenza in commento è molto rilevante in quanto affronta la questione, al centro di un vivo dibattito in dottrina e giurisprudenza, relativo alla validità alla stregua dell’art. 2265 delle opzioni put concesse nella prassi finanziaria quale garanzia, per l’investitore che acquisti una partecipazione sociale spesso risolvendo una situazione di bisogno dell’ente partecipato, della fruttuosità dell’investimento operato o quanto meno del rientro dei capitali investiti.

La pronuncia testimonia come la questione non possa considerarsi risolta pure dopo la recente presa di posizione della Cassazione, la quale con due pronunce rese nel 2018 aveva sostenuto la validità delle pattuizioni sopra richiamate in quanto potenzialmente rispondenti a un interesse meritevole di tutela [in particolare visto nell’interesse a operare un finanziamento di una società (bisognosa della corrispondente provvista) nella sostanza garantito dalla futura possibilità di vendita della partecipazione acquistata]. I giudici milanesi, proprio dichiarando di essere guidati dagli assunti teorici della richiamata Cassazione, ora risolvono in senso negativo la valutazione circa la meritevolezza della pattuizione oggetto di esame, così ritenendo che una tale valutazione va operata in concreto.

Così, la Corte parte (p. 11) dal presupposto che “il divieto di patto leonino… ha la funzione di tutelare il socio da comportamenti usurari di un altro socio, impedendo una totale esclusione di quest'ultimo dalla partecipazione alle perdite e di evitare la lesione del contratto associativo. Esso è volto a garantire la correlazione tra il potere di amministrare l'impresa e l'assunzione del rischio inerente alla gestione dell'impresa stessa”. Su tali basi, sulla scorta dell’osservazione del caso concreto conclude (p. 14) che “la causa societatis del rapporto partecipativo del socio/finanziatore non è rimasta invariata nei confronti dell'ente collettivo, ma è stata irrimediabilmente deviata dal sistema di clausole dell'accordo di investimento e patto parasociale, che perseguivano lo scopo di esonerarlo, in modo assoluto e costante, dalla sopportazione di ogni sorta di perdita, garantendogli sempre e comunque il rientro dell'investimento e finanche un guadagno”.

In relazione al procedimento logico che conduce alla riferita conclusione, meritano di essere evidenziati due ulteriori passaggi. Uno, in cui viene sottolineato che, poiché il problema del divieto di patto leonino è di evitare che qualcuno possa incidere sul controllo della società senza subirne alcun rischio, nel giudizio circa la liceità del singolo accordo rilevano le clausole dell’accordo parasociale (il quale normalmente accompagna la put) con cui l’acquirente titolare dell’opzione in parola si riservi il diritto di nominare membri del consiglio di amministrazione e in generale – aggiungerei - di avere voce nelle questioni di governance (quorum consiliari e assembleari rafforzati, nomine di organi di controllo…). Altro punto, è quello in cui la Corte milanese osserva che non v’è incompatibilità tra il rilevare concretamente la nullità di un dato accordo, pure se qualificabile come patto di finanziamento partecipativo, e la tipica ricorrenza di strumenti finanziari partecipativi: il problema non è quello di non ammettere in astratto che alla partecipazione sottenda un finanziamento, quanto di evitare che un tale meccanismo consenta in concreto di governare senza rischi la società.

La pronuncia pare in effetti un passo avanti nel chiarimento della materia. E ciò, soprattutto, nella misura in cui si rende evidente che l’affermare che un “finanziamento partecipativo” realizza un interesse astrattamente degno, e disegna dunque un accordo di per sé sensato, comunque non evita la circostanza che per effetto di un tale accordo una società può essere assoggettata al controllo o all’influenza di un soggetto del tutto o quasi indifferente al rischio di impresa, così di fatto potendosi anche consegnare la gestione all’azzardo. Se si crede, come ormai fa la moderna letteratura, che una tale eventualità è quella contro cui si erge l’art. 2265, il ragionamento che si basi su di una mera atomistica meritevolezza dell’accordo di put è quindi per forza di cose errato e va corretto.

Riferimenti:
- Le ultime pronunce della Cassazione sul tema sono in particolare quelle del 4 luglio 2018, nn. 17498 e 1500, sostanzialmente sovrapponibili tra loro. Si tratta di sentenze che hanno formato oggetto di numerosi commenti: tra i tanti v. DE LUCA, Il socio “leone”. Il revirement della Cassazione su opzioni di put a prezzo definito e divieto di patto leonino, in BBTC, 2019, p. 81 ss.; SCORDO, Partecipazioni sociali, clausole di opzione put e interessi di impresa, in Giur. comm., 2020, II, p. 300 ss.;
- In generale per la giurisprudenza di merito sul tema, fra le tante, v. App. Milano, 19 febbraio 2016, n. 636, in Notariato, 2016, p. 489 ss., con nota di MAZZOLETTI, Put option e patto leonino: un divieto ancora attuale?; in Società, 2016, 691, con nota di A.M. PERRINO, Autonomia, liceità e meritevolezza dei patti parasociali di finanziamento partecipativo; App. Genova, 18 maggio 2018, n. 829, in DeJure; App. Milano, 20 ottobre 2014, in Contr., 2015, p. 999; App. Milano, 17 settembre 2014, in Società, 2015, p. 555; Trib. Roma, 8 novembre 2019, in DeJure; Trib Bologna, 12 febbraio 2018, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 30 gennaio 2018, ivi; Trib. Milano, 18 ottobre 2017, in Società, 2018; Trib. Roma, 5 luglio 2017, n. 13683, in DeJure;
- Sulla ratio del divieto di patto leonino e l’applicabilità anche ai patti parasociali, DE LUCA, Il socio “leone”, cit., p. 101; Santoni, Patti parasociali, Napoli, 1985, p. 38 ss. e 150 ss.; FARENGA, I contratti parasociali, Milano, 1987, p. 153 ss.; ABRIANI, Il divieto del patto leonino, Milano, 1994, p. 138 ss.; NIGRO, Art. 2265, in Delle società. Commentario del codice civile, diretto da Gabrielli, I, Torino, 2014, p. 233; SPOLIDORO, Clausole put e divieto di società leonina, in Riv. soc., 2018, p. 1296.

Corte di Appello 13.02.2020.pdf


Esclusione del socio moroso di s.r.l.

Mancato versamento dei conferimenti promessi in sede di aumento di capitale di s.r.l. ed esclusione del socio

Cass. 21 gennaio 2020, n. 1185. La s. Corte si pronuncia sulla questione della perimetrazione dell’ambito di applicazione della norma in tema di socio moroso di s.r.l., contenuta nell’art. 2466 c.c., nonché sui suoi specifici contenuti. In particolare, in primo luogo viene affermato di potersi estendere la previsione in parola pure all’inadempimento dell’obbligo di conferimento derivante dalla sottoscrizione di capitale intervenuta in sede di aumento di capitale, oltre che di costituzione. In secondo luogo, si precisa che, a giudizio della Corte, spirata la diffida inviata dagli amministratori, l’eventuale inadempimento del socio può comportare unicamente una sua esclusione parziale, in relazione cioè alla quella porzione di quota che era stata sottoscritta in sede di modifica del capitale sociale: senza che venga meno, invece, la partecipazione sociale del medesimo socio per la parte già sottoscritta e liberata in sede originaria.

Sul primo punto, si pongono per la verità pochi dubbi. E’ difficile infatti contraddire l’assunto per cui l’art. 2466 c.c. è disposizione che, come riporta la Corte, “mira a preservare l’effettività del capitale sociale”. Così, poiché non è tollerabile che la società denunci un capitale sociale nominale cui non corrisponderà (per effetto dell’inadempimento del socio) un effettivo apporto di risorse finanziarie (un “capitale reale”), occorre prevedere un rimedio per l’eventualità che una tale versamento del socio non sia mai operato: e tale rimedio consiste appunto nella procedura che stabilisce la vendita della quota e, in caso di mancanza di acquirenti, la riduzione del capitale sociale e l’esclusione del socio.

Il secondo problema è certo più complicato. Quando l’aumento di capitale viene deliberato, il quotista ha già adempiuto – perché lo prevede la legge – il precedente impegno ai conferimenti e pertanto ha già consolidato la propria posizione di “socio”. Ove si decida un aumento di capitale ed egli sia inadempiente al nuovo obbligo di conferimento eventualmente assunto, l’applicazione dell’art. 2466 a tale vicenda può giustificare una completa esclusione di tale soggetto dalla società o solo un annullamento della nuova porzione di quota, acquisita con la riferita modifica statutaria? Su questo profilo, la Cassazione decide nel secondo senso, motivando, sia sulla base di una ordinaria “divisibilità” della quota (desunta dall’art. 2373, comma 4, nonché della “pacifica alienabilità parziale della quota”), sia sulla coerenza di tale soluzione “ai principi di buona fede e correttezza i quali necessariamente informano anche i rapporti societari”.

Che la soluzione ora adottata dai supremi Giudici sia quella corretta in materia di s.p.a. non si discute. Per la s.r.l., invece, la posizione non è tuttavia scontata e si scontra, infatti, oltre che con una giurisprudenza di merito, con una significativa parte della dottrina. Alcuni indici in effetti spingono in altra direzione, e cioè per la rilevanza organizzativa nella s.r.l. del rapporto personale tra soci e la rilevanza dell’inadempimento sul piano di tale rapporto (v., tra il resto, l’utilizzo del termine “esclusione” nel 2466, piuttosto che di quello “annullamento”). E ove si creda che la s.r.l. sia tipo che di base lega la sua spinta di governance all’istituzione di un diretto rapporto personale tra i soci (il quale non sia quindi solo, come nella s.p.a. un riflesso del rapporto reale occasionato dalla contitolarità del capitale sociale), l’idea di considerare anche l’inadempimento degli obblighi di conferimento assunti in sede di aumento di capitale fonte di una vera e propria esclusione (similmente a quanto accadrebbe nelle società personali) non pare per la verità affatto peregrina. In un tale quadro concettuale, può immaginarsi di doversi adottare una soluzione diversa a seconda della scelta statutaria adottata: in una s.r.l. con quote dichiaratamente rivolte al mercato (magari anche con l’istituzione di apposite categorie, come oggi è espressamente consentito) o comunque espressamente indicate quali divisibili, l’interpretazione in commento adottata dalla s. Corte sarebbe condivisibile; in mancanza di una tale caratterizzazione statutaria della società, dovrebbe invece prospettarsi una lettura opposta.

Riferimenti:
- Sull’art. 2466, in generale, per tutti, VALZER, La mancata esecuzione dei conferimenti, in S.R.L. Commentario dedicato a Giuseppe B. Portale, a cura di Dolmetta – Presti, Giuffrè, Milano, 2011, 227 ss.; e ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, in Il Codice Civile Commentario, fondato da Schlesinger diretto da Busnelli, I, Giuffrè, Milano, 2010, 421
- Specificamente sull’applicabilità delle norme in tema di socio moroso anche in sede di aumento di capitale sociale, Cass., 30/09/2019, n. 24444 e Cass., 25/02/2020, n. 4956.; AVANZINI, Esclusione del socio per mancata esecuzione dei conferimenti a seguito della sottoscrizione dell’aumento di capitale, in www.ilsocietario.it; PERRINO, Le tecniche di esclusione del socio dalla società, Milano, 1997; SPOLIDORO, I conferimenti in danaro, Tr. Colombo-Portale, 449; G.M. D’AIELLO, Questioni “aperte” in tema di vendita coattiva della quota del socio moroso s.r.l., in Banca Borsa e Titoli di credito, 2012, VI, 758
- In merito alla limitazione dei rimedi alla sola quota sottoscritta in sede di aumento di capitale: in senso contrario, FERRI, Le società, in Trattato Vassalli, Torino, 1987, 435; VALZER, op. cit.; ZANARONE, op. cit; in senso favorevole, SANTINI, Società a responsabilità limitata, sub art. 2477, in Della società a responsabilità limitata: art. 2462-2483 c.c., Bologna, 2014, p. 103, nt. 08; MASI, Art. 2466, in Società di capitali Commentario, a cura di Niccolini – Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 1444; MASTURZI, Art. 2466, in La riforma delle società, a cura di Santoro e Sandulli, III, Torino, 2003, 45; CACCHI PESSANI, Articolo 2466, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti – Bianchi – Ghezzi - Notari, Egea, Milano, 2008, 209; D’AMBRA, Il mancato pagamento delle quote di s.r.l., in Società, 1994, 749 ss.

Cass 1 1 2020 1185 mora socio srl.pdf


Escussione abusiva di garanzia bancaria

Canone di locazione commerciale, lockdown ed escussione abusiva di fideiussione bancaria

Trib. Roma, 27 ottobre 2020. Si segnala questa recentissima pronuncia, che ha inibito al locatore di escutere la fideiussione a prima richiesta emessa a protezione del diritto a ricevere i canoni locati, ritenendo la suddetta escussione, intimata per lettera, “abusiva” in quanto in violazione del canone di buona fede. In particolare, nella specie la violazione sembra essere consistita, a opinione del giudice, nel “non avere mostrato alcuna disponibilità a rinegoziare le condizioni del rapporto, alla luce delle sopravvenute circostanze oggettive di indiscutibile impatto sull’equilibrio del rapporto”. In altre parole, per i giudici romani l’emergenza del lockdown imponeva al locatore in buona fede una valutazione di una (temporanea?) riduzione del canone, e (sembra) una parallela sospensione dei collegati originari termini di pagamento, cosicché la richiesta alla banca di ricevere un pagamento correlato a detti termini si configurerebbe come abuso dello ius scrictum in una situazione di sua difformità rispetto alle condizioni sostanziali.

La pronuncia si inscrive nell’orientamento, di per sé ormai ricevuto (e granitico), per cui la pretesa di pagamento di una garanzia autonoma da parte del suo beneficiario è paralizzabile dalla banca con l’exceptio doli, cosicché il medesimo rimedio può fondare la richiesta di inibitoria verso la banca, ex art. 700 c.p.c. a effettuare il pagamento. Particolarità del caso concreto è che l’abuso (per contrarietà a buona fede) nella pretesa di azionare il diritto di credito garantito sarebbe fondato su un’ulteriore lesione dell’obbligo di buona fede, che ex art. 1375 c.c. in thesi nella specie imponeva al locatore di rinegoziare il canone o quanto meno valutare la sussistenza di altri presupposti di una rinegoziazione (in base alla presupposizione? O a una interpretazione estensiva dell’art. 1581?), dato il sopravvenuto mutamento nella oggettiva possibilità di godimento del bene locato (nell’utilizzo concordato).

Riferimenti:
- In merito all’esperibilità della exceptio doli nelle garanzie autonome, v. (oltre naturalmente al seminale lavoro di PORTALE, Le garanzie bancarie internazionali, Milano, 1989), ex multis, Jovino, L’adempimento dell’obbligazione principale rende abusiva l’escussione di una garanzia internazionale a prima richiesta e tale circostanza può essere accertata anche mediante un procedimento ex art. 700 c.p.c.; in Riv. dir. comm., 2001, II, 149 e Chindemi, I contratti autonomi di garanzia e altre garanzie personali atipiche in materia bancaria e assicurativa, in Nuova giur. civ. comm., 1994, II, 340; in giurisprudenza, tra le tante, Cass., 18 febbraio 2010, n. 3947; Cass., 24 aprile 2008, n. 10652, cit.; Trib. Genova, 9 dicembre 1992; Trib. Padova, 31 maggio 1993; Trib. Roma, 26 marzo 2001 (ord.).
- In dottrina, sul generale fondamento nell’ordinamento dell’exceptio doli e per la spiegazione del suo funzionamento DOLMETTA, Exceptio doli generalis, in Banca e borsa, 1998, I, 148; PELLIZZI, Exceptio doli (dir. civile), in Noviss. Digesto it., IV, Torino, 1964, 1075 e TORRENTE, Eccezione di dolo, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 218 s.; MERUZZI, L’Exceptio doli. Dal diritto civile al diritto commerciale, Padova, 2005, 241 ss. e NANNI, L’uso giurisprudenziale dell’«exceptio doli generalis», in Contr. e impr., 1986, 198 e 209. V. pure, in argomento, FESTI, L’ambito di applicazione ed i limiti dell’exceptio doli generalis, BBTC, 2007, II, 712.

Trib Roma 27 10 2020.pdf