Normativa emergenziale in materia di aumento di capitale e abuso di maggioranza
Trib. Venezia, 13 settembre 2021. Si segnala una pronuncia interessante per l’applicazione del divieto di abuso di maggioranza in materia di normativa emergenziale sull’aumento di capitale.
Nel caso di specie, l’applicazione della normativa emergenziale ex art. 44 del d.l. 76/2020 c.d. “Decreto Semplificazioni” (conv. in l. 120/2020) – che, come noto, ha derogato fino al 30.06.2021 alle norme in materia di quorum assembleari, ritenendo sufficiente per l’approvazione dell’aumento di capitale il voto favorevole della maggioranza del capitale rappresentato in assemblea, anche qualora lo statuto preveda maggioranze più elevate – aveva condotto i soci portatori del 66% del capitale sociale di una s.r.l. a deliberare un aumento di capitale senza il rispetto della clausola statutaria, la quale imponeva una maggioranza pari all’80%.
Nel provvedimento allegato, ai fini della concessione della sospensiva ex artt. 2378 e 2479-ter c.c., il giudice ha riconosciuto l’utilizzo abusivo della normativa, ritenendo che essa sia stata strumentalmente applicata dalla maggioranza al fine di arrecare un danno al socio di minoranza. In particolare, nell’ordinanza viene riconosciuto che, in termini astratti, la normativa emergenziale sull’aumento di capitale ha portata generale ed è pertanto svincolata da presupposti specifici, sicché essa è applicabile anche in quei casi in cui – come quello di specie – l’aumento di capitale non sia preordinato a coprire una perdita. Tuttavia, nella fattispecie in esame il giudice ha ritenuto in concreto provato l’abuso sulla base del ragionamento che, benché sia astrattamente vero che la ratio della normativa emergenziale è quella di favorire l’apporto di nuovo capitale, essenziale all’impresa, da parte dei soci in un momento di grave crisi economica determinata dall’evento pandemico, nella specie è mancata in concreto la dimostrazione di tale essenzialità, atteso che: i) l’aumento di capitale (da €10.000,00 a €80.000,00) ammontava a una cifra quasi doppia rispetto all’urgenza finanziaria ravvisata dagli amministratori, quale risultante dal verbale del c.d.a. e ii) si era previsto il versamento immediato, al momento della sottoscrizione, solo del 25% del nuovo capitale, omettendo qualsiasi ulteriore disposizione riguardo alle modalità e tempistiche del versamento del residuo 75%, di cui è sembrato non emergere alcuna esigenza.
Si tratta pertanto di elementi da cui il giudice ricava potersi ritenere indirettamente provato il fine diluitivo dell’aumento di capitale; ciò, sulla base anche della circostanza aggiuntiva che i soci di maggioranza nella specie potevano considerarsi essere nella posizione di sapere che il socio di minoranza non sarebbe stato in grado di sottoscrivere l’aumento di capitale. Il fine fraudolento viene così indicato nell’essere stata l’operazione essenzialmente preordinata a ridurre la percentuale del socio di minoranza al di sotto della misura del 20%: vale a dire, sotto la soglia statutariamente necessaria al fine di consentire al socio di minoranza di opporsi alle decisioni rilevanti.
Sul generale tema dell’abuso di maggioranza, va ricordato che l’aumento di capitale rappresenta una vicenda tradizionalmente ritenuta – tanto in dottrina quanto in giurisprudenza – una potenziale occasione di integrazione di tale condotta, proprio nella misura in cui l’operazione si presta alla realizzazione di un programma diluitivo. E’ noto, poi, che l’“abuso” del diritto di voto è reputato illecito, a seconda delle ricostruzioni volta a volta seguite da quanti se ne sono occupati, a vario titolo: ora perché contrastante con il principio di buona fede e correttezza (ed è, come risaputo, la posizione su cui si è assestata dagli anni ’90 la Corte di Cassazione), ora in quanto integrativo di un eccesso di potere, ora poiché ritenuto frontalmente contrario a un generale divieto di abuso del diritto. Se sempre si segnala, peraltro, la difficoltà della prova dell’intento di danno, nel caso di specie è rilevante evidenziare che secondo i Giudici Veneziani tale prova risulta però facilitata dall’applicazione della normativa emergenziale, considerata invocabile per la finalità specifica di aiutare le imprese a reperire risorse economiche essenziali in un delicato momento storico: cosicché, là dove una tale esigenza si reputi non provata in concreto, dovrà presumersi l’intento fraudolento.
In relazione al punto della sospensione ex artt. 2378 e 2479-ter c.c. è opportuno segnalare che l’ordinanza si limita a disporla, senza porsi il problema delle sue conseguenze. Si tratta però di un tema tutt’altro che irrilevante, posto che secondo la migliore dottrina l’aumento di capitale eseguito non può invalidarsi con effetti ex tunc: sicché, il provvedimento del giudice – anche là dove si ritenga esso possa avere natura “anticipatoria” rispetto pronuncia di merito sull’impugnazione della delibera – non può impedire un effetto già prodottosi (la creazione di nuovo capitale), né di per sé rimuoverlo (altrimenti, anziché di sospensione dovrebbe parlarsi di vera e propria revoca).