Mancato versamento dei conferimenti promessi in sede di aumento di capitale di s.r.l. ed esclusione del socio
Cass. 21 gennaio 2020, n. 1185. La s. Corte si pronuncia sulla questione della perimetrazione dell’ambito di applicazione della norma in tema di socio moroso di s.r.l., contenuta nell’art. 2466 c.c., nonché sui suoi specifici contenuti. In particolare, in primo luogo viene affermato di potersi estendere la previsione in parola pure all’inadempimento dell’obbligo di conferimento derivante dalla sottoscrizione di capitale intervenuta in sede di aumento di capitale, oltre che di costituzione. In secondo luogo, si precisa che, a giudizio della Corte, spirata la diffida inviata dagli amministratori, l’eventuale inadempimento del socio può comportare unicamente una sua esclusione parziale, in relazione cioè alla quella porzione di quota che era stata sottoscritta in sede di modifica del capitale sociale: senza che venga meno, invece, la partecipazione sociale del medesimo socio per la parte già sottoscritta e liberata in sede originaria.
Sul primo punto, si pongono per la verità pochi dubbi. E’ difficile infatti contraddire l’assunto per cui l’art. 2466 c.c. è disposizione che, come riporta la Corte, “mira a preservare l’effettività del capitale sociale”. Così, poiché non è tollerabile che la società denunci un capitale sociale nominale cui non corrisponderà (per effetto dell’inadempimento del socio) un effettivo apporto di risorse finanziarie (un “capitale reale”), occorre prevedere un rimedio per l’eventualità che una tale versamento del socio non sia mai operato: e tale rimedio consiste appunto nella procedura che stabilisce la vendita della quota e, in caso di mancanza di acquirenti, la riduzione del capitale sociale e l’esclusione del socio.
Il secondo problema è certo più complicato. Quando l’aumento di capitale viene deliberato, il quotista ha già adempiuto – perché lo prevede la legge – il precedente impegno ai conferimenti e pertanto ha già consolidato la propria posizione di “socio”. Ove si decida un aumento di capitale ed egli sia inadempiente al nuovo obbligo di conferimento eventualmente assunto, l’applicazione dell’art. 2466 a tale vicenda può giustificare una completa esclusione di tale soggetto dalla società o solo un annullamento della nuova porzione di quota, acquisita con la riferita modifica statutaria? Su questo profilo, la Cassazione decide nel secondo senso, motivando, sia sulla base di una ordinaria “divisibilità” della quota (desunta dall’art. 2373, comma 4, nonché della “pacifica alienabilità parziale della quota”), sia sulla coerenza di tale soluzione “ai principi di buona fede e correttezza i quali necessariamente informano anche i rapporti societari”.
Che la soluzione ora adottata dai supremi Giudici sia quella corretta in materia di s.p.a. non si discute. Per la s.r.l., invece, la posizione non è tuttavia scontata e si scontra, infatti, oltre che con una giurisprudenza di merito, con una significativa parte della dottrina. Alcuni indici in effetti spingono in altra direzione, e cioè per la rilevanza organizzativa nella s.r.l. del rapporto personale tra soci e la rilevanza dell’inadempimento sul piano di tale rapporto (v., tra il resto, l’utilizzo del termine “esclusione” nel 2466, piuttosto che di quello “annullamento”). E ove si creda che la s.r.l. sia tipo che di base lega la sua spinta di governance all’istituzione di un diretto rapporto personale tra i soci (il quale non sia quindi solo, come nella s.p.a. un riflesso del rapporto reale occasionato dalla contitolarità del capitale sociale), l’idea di considerare anche l’inadempimento degli obblighi di conferimento assunti in sede di aumento di capitale fonte di una vera e propria esclusione (similmente a quanto accadrebbe nelle società personali) non pare per la verità affatto peregrina. In un tale quadro concettuale, può immaginarsi di doversi adottare una soluzione diversa a seconda della scelta statutaria adottata: in una s.r.l. con quote dichiaratamente rivolte al mercato (magari anche con l’istituzione di apposite categorie, come oggi è espressamente consentito) o comunque espressamente indicate quali divisibili, l’interpretazione in commento adottata dalla s. Corte sarebbe condivisibile; in mancanza di una tale caratterizzazione statutaria della società, dovrebbe invece prospettarsi una lettura opposta.